Noi che non vi abbiamo mai visto bambini.

Oggi papà è tornato a casa con due pacchetti in mano.
Uno era quadrato e sottile, l’altro grande e rettangolare.
Stavo giocando ad acchiappare le lucertole sul muretto, ma erano troppo veloci.
Gli sono corso incontro.
“Cosa sono, babbo?”
“Regali.”
“Per me?”
Avevo teso le mani.
“Uno per te, l’altro per me.”
Speravo che il mio fosse quello più grande, a forma di mattoncino.
Magari era un’automobilina nuova. Durante l’intervallo, a scuola, giocavamo alle corse e avevo scoperto che quella rossa di Maurizio era più veloce della mia. Vinceva sempre.
Invece il papà mi aveva dato il pacchetto sottile, mettendo l’altro sul tavolo apparecchiato. Sembrava proprio che non vedesse l’ora di scartarlo e anche a me interessava più il suo regalo del mio.
“Che fai, non lo apri?”
“No, prima voglio vedere il tuo.”
Papà aveva iniziato a strappare la carta marroncina dall’angolo in alto.
“Mac-chi-na-fo-to-gra-fi-ca” leggevo a sillabe, mentre scartava il pacchetto.
“Sì Max, serve per fare le fotografie senza andare nello studio e vestirci bene, come vuole la mamma.”
La mamma stava scolando la pasta e si fermò a guardarci. Sorrideva.
“Vedi? Qui si mette il rullino” papà stava armeggiando con uno sportellino sul retro della macchina “e adesso siamo pronti. Max, apri il tuo regalo, ci serve!”
Era un pallone gigante, rotondo, che il papà gonfiò in due soffi.
“Dai, vieni fuori con me.”
“Guido, la pasta…”
“Ci mettiamo pochissimo, amore.”

Il papà si è allontanato da me, la macchina vicino all’occhio sinistro.
Quello destro era chiuso.
“Babbo, cosa devo fare?”
“Mettiti in posa, così, sorridi.”
“Babbo…”

Click.

“Avevi un dito davanti all’occhio della macchinetta.”

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8/5

“Colonnello, venga a bersi qualcosa con noi!”
“No ragazzi, grazie. Devo riposarmi.”
“Buona notte Colonnello, ci renda fieri.”

Paul rabbrividì, a dispetto della pioggia calda che gli scivolava sulla giacca in quella notte afosa. Le gocce cadevano a terra in maniera fluida, come se il cielo avesse rovesciato sulla base una tempesta di olio per motore, come se il verde soffocante della giungla intorno a loro e le puttane ubriache sulla soglia dello spaccio non fossero una punizione abbastanza grande, per degli stronzi fedeli a Dio e alla patria come loro.
Si allontanò dai commilitoni con un cenno del capo, in silenzio.
Prima di partire per arruolarsi, sua madre gli aveva dato un abbraccio e tre consigli; quello che più gli era rimasto impresso, quello che aveva sempre seguito nella sua carriera, gli imponeva di non promettere mai più di quello che avrebbe potuto mantenere.
Aprì la porta della sua stanza e si sedette sul letto, si slacciò le scarpe e il primo bottone della giacca, lasciando che il materasso morbido accogliesse il suo corpo. Non sarebbe mai riuscito a dormire, mancava poco all’inizio della missione. Lo aspettavano sei ore di volo sopra il Pacifico e addormentarsi lo avrebbe solo fatto impantanare tra i suoi incubi. Con un colpo di reni si mise seduto, tra i lamenti cigolanti del letto, e iniziò a spogliarsi. Vestiti bene era il secondo dei consigli di sua madre, e quello era il giorno più importante della sua vita. Forse sarebbe stato anche l’ultimo.
Sarebbe morto facendo quello che amava, certo; quella era stata la sua ossessione da quando aveva dodici anni, da quando era salito su quel biplano e aveva sentito per la prima volta le orecchie tapparsi per l’alta quota, i testicoli raggrinzirsi, la sensazione di essere qualcosa di leggerissimo dentro una macchina volante.
Quando si arruolò sua madre gli diede un abbraccio. Un giorno mi renderai fiera di te furono le parole che si sentì soffiare nell’orecchio.
Mentre usciva dalla sua stanza Paul aveva paura. Ne aveva avuta mentre parlava ai suoi uomini, mentre spiegava loro che avrebbero avuto un minuto di tempo per allontanarsi, dopo aver sganciato la bomba, prima che l’onda d’urto dell’esplosione distruggesse l’aereo. Ma non poteva farli salire su quell’aereo senza dir loro la verità. Era il terzo consiglio di sua madre. Di’ sempre la verità.
Sua madre, che donna! Anche quando il padre pensava che avesse perso la testa, lei aveva preso le sue difese. Sua madre gli aveva sempre detto che sarebbe andato tutto bene.
Ed era giusto che quella notte volasse con lui verso il Giappone, che lo accompagnasse verso la distruzione, in quella notte figlia del caos.

Camminando attraverso l’hangar deserto raggiunse il suo aereo, un bombardiere B-29 pronto al decollo. Sotto il finestrino la vernice rossa rifletteva come se non fosse ancora asciutta del tutto. Il nome di sua madre, Enola Gay.

Japan US Poll

L’inconfondibile altruismo dell’astronauta in orbita.

20 luglio 1969, 20:18 UTC, Mare della Tranquillità, Luna.

Il comandante Neil A. Armstrong e il pilota Edwin Buzz Aldrin scendono dal modulo Eagle e toccano per la prima volta nella storia dell’umanità il suolo lunare. Al loro ritorno li attendono fama, onori, la certezza che il loro nome sarà scritto a fuoco nella memoria di ogni uomo, donna, bambino che abbia mai alzato lo sguardo verso il nostro satellite.

 

20 luglio 1969, 20:18 UTC, Orbita lunare.

A bordo del Columbia il pilota del modulo di comando, Michael Collins, ha concluso la sua missione e non gli resta che guardare l’Eagle avvicinarsi sempre di più verso la Luna. Al suo ritorno lo attendono fama, onorificenze, anche se non passa più di un decennio prima che un ben più famoso Collins, cantando, lo surclassi in celebrità. A lui il merito di aver accompagnato gli uomini che hanno fatto il grande balzo per l’umanità, senza però mai fare neanche un piccolo passo sulla Luna.

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