Oggi papà è tornato a casa con due pacchetti in mano.
Uno era quadrato e sottile, l’altro grande e rettangolare.
Stavo giocando ad acchiappare le lucertole sul muretto, ma erano troppo veloci.
Gli sono corso incontro.
“Cosa sono, babbo?”
“Regali.”
“Per me?”
Avevo teso le mani.
“Uno per te, l’altro per me.”
Speravo che il mio fosse quello più grande, a forma di mattoncino.
Magari era un’automobilina nuova. Durante l’intervallo, a scuola, giocavamo alle corse e avevo scoperto che quella rossa di Maurizio era più veloce della mia. Vinceva sempre.
Invece il papà mi aveva dato il pacchetto sottile, mettendo l’altro sul tavolo apparecchiato. Sembrava proprio che non vedesse l’ora di scartarlo e anche a me interessava più il suo regalo del mio.
“Che fai, non lo apri?”
“No, prima voglio vedere il tuo.”
Papà aveva iniziato a strappare la carta marroncina dall’angolo in alto.
“Mac-chi-na-fo-to-gra-fi-ca” leggevo a sillabe, mentre scartava il pacchetto.
“Sì Max, serve per fare le fotografie senza andare nello studio e vestirci bene, come vuole la mamma.”
La mamma stava scolando la pasta e si fermò a guardarci. Sorrideva.
“Vedi? Qui si mette il rullino” papà stava armeggiando con uno sportellino sul retro della macchina “e adesso siamo pronti. Max, apri il tuo regalo, ci serve!”
Era un pallone gigante, rotondo, che il papà gonfiò in due soffi.
“Dai, vieni fuori con me.”
“Guido, la pasta…”
“Ci mettiamo pochissimo, amore.”
Il papà si è allontanato da me, la macchina vicino all’occhio sinistro.
Quello destro era chiuso.
“Babbo, cosa devo fare?”
“Mettiti in posa, così, sorridi.”
“Babbo…”
Click.
“Avevi un dito davanti all’occhio della macchinetta.”