L’anonima fine di Radice Quadrata – Alessandro Mari

Le coincidenze tra le nostre vite non sono coincidenze, ma ripetizioni. A volte un po’ diverse, a volte tanto diverse da sembrare un’altra cosa, ma ripetizioni della stessa storia. L’unica storia di noi. Tutti perdiamo qualcuno. […] Io e Radice Quadrata eravamo come la luna e il sole, non c’è dubbio, eppure io iniziavo a riconoscere in lui qualcosa che era stato anche mio. Che ancora era mio.

Sofia ha sedici anni e un nuovo compagno di banco assegnatole dal supplente di Storia e Filosofia.

Sei una radice quadrata senza un numero dentro, la aveva apostrofata lui al primo anno, e quel soprannome, Radice Quadrata, gli si era ritorto contro, sostituendo con l’immutabilità degli anni del liceo il suo vero nome. Radice quadrata è mancino, scrive sempre su dei taccuini con l’elastico e ha la faccia tosta e trista, alla De Amicis. Radice quadrata non appartiene alla sua generazione, ma va più in profondità, come al mare, dove invece di nuotare in superficie, come gli altri ragazzi, scende in profonde apnee, sempre nello stesso punto, muovendosi in verticale, non in orizzontale. Anche per questo Sofia lo odia, lui e il suo braccio che copre la vista delle parole scritte sul taccuino, lei e la sua intelligenza da nativa digitale, il blog, le bugie seriali, quel modo di detestare gli altri così impreciso come può esserlo solo durante l’adolescenza.

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L’anonima fine di Radice Quadrata è un romanzo di ragazzi, più che per ragazzi, in cui Mari riesce a cogliere la leggerezza di un’età che rimpiangiamo soltanto una volta passata, manovrando la protagonista con grande sapienza, lontano dai cliché della letteratura Young Adult, dagli amori a tutti i costi, da quei sentimenti troppo falsi per dei ragazzi così veri. Certo, le prime venti pagine lasciano perplessi, lo stile colloquiale è perfino troppo simile a quello che sentiamo ogni giorno camminando per le strade, sugli autobus, ovunque ci siano degli under diciotto, lo straniamento è lo stesso provato aprendo per la prima volta Il Giovane Holden fuori tempo massimo, diciamo dopo aver raggiunto la maggiore età, ma posso confermare che le paure nascoste che mi hanno tenuto compagnia durante la lettura sono state sopite con il dipanarsi della storia. La paura più grande era scatenata dal titolo, troppo simile, per tematiche e costruzione, all’opera prima di Paolo Giordano. Ma la radice quadrata, in questo caso, batte i numeri primi tre a zero, con buona pace di tutti i professori di matematica del mondo.

Veramente consigliato, non solo agli adolescenti, ma anche a tutti quelli che dall’adolescenza ne sono usciti, e ancora adesso si trovano a cercare di nasconderne le cicatrici.

Quando ti scrivi con qualcuno, le parole sono abissali caverne dove l’eco è infinita, ma quando poi rivedi quel particolare qualcuno con cui ti sei scritta, dell’eco infinita può restare poco. […] Come aver fatto l’amore a parole senza manco un bacio.

Joël Dicker – La verità sul caso Harry Quebert

Certe volte i libri ti parlano, altre sei tu che parli a loro, o meglio al loro creatore, in una sorta di monologo a bordo pagina che non risparmia offese e criticità. 1555326_921796604512207_3790087225064926209_n Parliamoci chiaro, Dicker è, come ho scritto nello spazio bianco in alto alla pagina seicentosettanta, un bastardo figlio di troia, ma soprattutto sa di esserlo: è perfettamente consapevole di essere riuscito a creare una macchina narrativa che costringe il lettore, anche quello poco avvezzo ai mattonazzi, a macinare pagine e pagine per scoprire la verità su Harry Quebert, ma soprattutto sulla piccola Nola Kellerman, protagonista indiscussa, per quanto assente, di queste oltre settecento pagine. Lo stile non è eccelso, anzi, soprattutto nei capitoli introduttivi, quelli con i consigli da scrittore, si raggiungono vette inimmaginabili di banalità e fabiovolismo, ma si tratta comunque di una scrittura che scivola velocemente, perfetta per l’obiettivo principale di Dicker, vendere milioni di copie e diventare ricco. Non vedo altre motivazioni per un romanzo che vorrebbe essere la versione fictional di A Sangue Freddo di Truman Capote, ma che strizza l’occhio con troppa concupiscenza al lettore, sapendo di tenerlo in pugno (e la cosa peggiore è che è assolutamente vero, era parecchio tempo che non sprofondavo così tanto il naso in un libro). Se accettiamo la definizione di bel libro che l’autore mette in bocca al suo personaggio, Harry, e cioè che

Un bel libro non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì sull’effetto cumulativo di tutte le parole che le hanno precedute. All’incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopo averne letto l’ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un’emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro è un libro che dispiace aver finito.

tocca dargli ragione, questo è veramente un bel libro.

Alcuni credono di amarsi e allora si sposano. Poi un giorno scoprono l’amore, senza neanche volerlo, senza rendersene conto. E gli esplode in faccia. È come l’idrogeno quando entra in contatto con l’aria: provoca un’esplosione pazzesca, che travolge tutto.